Sono del ricercatore friulano Gabriele D’Avino i calcoli che hanno smentito le tesi e i dati pubblicati sull’eminente rivista scientifica Nature a cura della statunitense Northwestern University firmate dal professor Samuel Stupp e dal Premio Nobel per la chimica 2016 James Fraser Stoddart.
Durante la sua permanenza in Belgio per una borsa di studio Gabriele si accorge che qualcosa non torna.
Si mette davanti al pc e, dopo confronti, calcoli e verifiche si accorge che quanto riportato dalla ricerca firmata dallo scozzese Stoddart, cioè di aver trovato ferroelettricità “elettronica” a temperatura ambiente in tre composti organici, non è esatto. Prima da solo e poi assieme ad altri studiosi del gruppo di Materiali Molecolari per Applicazioni Avanzate del Dipartimento di Scienze Chimiche della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma e a un team internazionale, smentisce con nuovi calcoli quanto pubblicato su Nature. “Non era certo voluto – sembra quasi giustificarsi Gabriele D’Avino – non era una ripicca, né una gara scientifica con l’ateneo americano che aveva fatto pubblicare lo studio ma era giusto che la comunità scientifica sapesse che le cose stavano diversamente”.
Da questo lavoro di approfondimento sono seguite due pubblicazioni che criticavano il lavoro del Nobel: la prima su Physical Review Letters, basata unicamente su calcoli teorici, pubblicata dal ricercatore friulano nel 2014; la seconda in collaborazione col team europeo dove sono stati rifatti gli esperimenti e i cui esiti sono stati inviati a Nature nell’ottobre del 2016, pubblicati lo scorso luglio.
Oggi Gabriele lavora con un team internazionale all’istituto Louis Néel di Grenoble del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica francese. Ma il Friuli ce l’ha nel cuore e spera di poter lavorare nuovamente nella sua terra. “Mi auguro che l’Italia investa molto di più nella ricerca e che le tante eccellenze costrette a lavorare all’estero finalmente possano rientrare. In regione abbiamo un esempio virtuoso di polo scientifico a Trieste. Lavorare respirando l’aria di casa senza per forza adattarsi ad altre nazioni e stili di vita sarebbe ottimale”.
di Paola Del Degan